Con la creazione di un efficace acronimo, Rice ha richiamato l’attenzione nel 2008 su un gruppo di batteri dotati di multi-farmaco resistenza: si tratta degli ESKAPE, acronimo che rappresenta Enterococcus faecium, Staphylococcus aureus, Klebsiella pneumoniae, Acinetobacter baumannii, Pseudomonas aeruginosa ed Enterobacter spp. Essi hanno in comune la notevole diffusione in ambiente nosocomiale e la scarsità di farmaci a disposizione per trattare le infezioni da essi sostenute, per cui la comprensione dei meccanismi alla base della loro diffusione, e lo studio di soluzioni in grado di contrastarli, risulterebbero di grande aiuto anche per la gestione dei fenomeni di farmaco resistenza in ambiente nosocomiale.
La Klebsiella pneumoniae produttrice di carbapenemasi (Kp-KPC) è la nuova frontiera dell’atibiotico resistenza: questi batteri sono resistenti a tutti i beta-lattamici e alla maggior parte degli altri antibiotici, eccetto alla colistina e gentamicina.
Il fenomeno della Klepsiella pneumoniae-KPC era maggiore nei reparti di terapia intensiva dove i pazienti sono esposti a maggiori procedure invasive e ad un’ampia gamma di antibiotici, ma il problema si è ormai diffuso in molti reparti ospedalieri, causando infezioni molto gravi e gravate da alta mortalità. La terapia ottimale contro questo patogeno multiresistente è tuttora oggetto di discussione, e la letteratura a riguardo risulta composta di un numero limitato di studi su casistiche per lo più ristrette.
Nel recente lavoro “From ESKAPE to ESCAPE, from KPC to CCC” gli autori propongono di includere, oltre che K. pneumoniae, gli enterobatteri produttori di carbapenemasi in generale e C. difficile, ed è stato proposto l’acronimo “CCC” per suggerire l’esistenza di una relazione enteropatogenetica complessa tra Candida spp., C. difficile e enterobatteri produttori di carbapenemasi.
Negli ultimi anni stiamo assistendo ad un incremento di queste “infezioni enteropatogenetiche opportunistiche” causate da Candida spp., Clostridium Difficile, e Kp-KPC.
L’elemento patogenetico comune a queste sindromi cliniche è rappresentato da un’alterazione del microbioma intestinale e che permette, a questi tre germi opportunisti, di sviluppare un’infezione.
Esiste un possibile filo conduttore che lega questi tre microrganismi: si ipotizza, infatti, che l’azione infiammatoria e lesiva della parete intestinale dovuta all’infezione da C. difficile (CDI) provochi una traslocazione di germi che possono colonizzare l’intestino dei pazienti e, quindi, possono facilitare l’insorgere di setticemie sostenute da Kp-KPC e Candida spp.
Tra le infezioni nosocomiali spicca per incidenza la colite pseudomembranosa sostenuta da C. difficile, frequente nei reparti di medicina interna e nei pazienti fragili, precedentemente trattati con terapie antibiotiche e che hanno subito ospedalizzazioni frequenti. C. difficile è un bacillo Gram+ anaerobio sporigeno, che causa infezioni gastrointestinali che vanno da una colonizzazione asintomatica a diarrea imponente, colite pseudomembranosa, megacolon tossico, perforazione colica e può causare anche il decesso. Nonostante la letalità di questa infezione appaia bassa, se confrontata con le setticemie da Kp-KPC e con le candidemie, rimane una patologia particolarmente debilitante, esposta ad un’alta probabilità di recidiva e di aumento dei costi e dei tempi dell’ospedalizzazione.
Il microbioma intestinale previene l’invasione da parte di germi patogeni attraverso un’inibizione diretta, la competizione per i nutrienti e stimolando le difese dell’ospite. In assenza di terapia antibiotica, concomitante o pregressa, che altera il microbioma, C. difficile non sarebbe in grado di causare una infezione invasiva.
I fattori di rischio per sviluppare una CDI può essere classificato in tre categorie:
- fattori legati all’ospite (stato immunitario, comorbidità);
- esposizione a spore di C. difficile (ricoveri frequenti e/o prolungati, residenze per anziani o di comunità etc.);
- fattori che alterano il microbioma intestinale (antibiotici, inibitori di pompa protonica, chirurgia, nutrizione parenterale etc..).
Praticamente tutti gli antibiotici possono essere correlati con lo sviluppo di CDI ma quellli considerati ad alto rischio sono la clindamicina, le cefalosporine di terza generazione, penicilline e fluorochinoloni.
La riduzione della diffusione nosocomiale di C. difficile e dei microrganismi produttori di carbapenemasi, è uno degli obiettivi principali dei programmi di stewardship antimicrobica.
I fattori di rischio noti per lo sviluppo di CDI sono ormai presenti frequentemente in molti pazienti, e le stesse alterazioni del microbioma, che stanno alla base di questa infezione nosocomiale, potrebbero essere correlate con l’instaurarsi di infezioni invasive sostenute da Candida spp. e Kp-KPC. In ospedale sono sempre più numerosi i pazienti anziani, i pazienti con molte comorbidità, che vengono trattati con terapie immunosoppressive, sottoposti ad interventi e procedure invasivi, frequenti ospedalizzazioni, terapie antibiotiche prolungate, nutrizione parenterale totale e device biomedicali che spesso sono fonti di infezione.
Tra le infezioni nosocomiali, le Candida spp. rappresentano una delle più frequenti cause di infezione del torrente circolatorio. L’incidenza delle candidosi invasive è in crescita a causa del cambiamento demografico, dell’aumento del numero di pazienti fragili sottoposti ad interventi invasivi, della complessità delle tecniche chirurgiche che permettono di eseguire interventi che in passato non sarebbero stati effettuati. L’aumento della sopravvivenza dei pazienti critici ha portato ad un incremento dell’impiego di procedure invasive, come l’utilizzo dei device endovascolari, come i cateteri venosi centrali (CVC) e quelli ad inserzione periferica (PICC), ed ad un aumentato uso di nutrizione parenterale ad infusione endovenosa, sia centrale che periferica. La candidosi invasiva è gravata da percentuali inaccettabili di mortalità globale ed attribuibile e, inoltre, è associata ad un aumento dei costi dovuti alla complessità delle cure e all’allungamento dei tempi di degenza.
C. difficile, Candida e Kp-KPC possono colonizzare il nostro intestino e dalla colonizzazione passare a forme invasive o molto gravi. Ci sono dei recenti case-reports che mostrano come la candidemia può susseguirsi ad una grave CDI, e che CDI può complicarsi con una setticemia da Kp-KPC.
É necessario che queste “sindromi enteropatogenetiche opportunistiche” siano monitorate dai programmi di antimicrobial stewardship e, nei nosocomi, dovrebbero essere implementate tutte quelle misure che portano alla riduzione del fenomeno della resistenza batterica, e alla diffusione di queste infezioni attraverso adeguate misure di isolamento e l’implementazione di protocolli che si basino sull’epidemiologia locale delle infezioni nosocomiali.
Proteggiamo il microbioma!
Bibliografia:
– De Rosa FG et al. From ESKAPE to ESCAPE, from KPC to CCC. Clin. Infect. Dis. 60, 1289-1290, 2015
– Guastalegname M et al. Candidemia subsequent to severe infection due to Clostridium difficile: is there a link? Clin Infect. Dis. 57, 772-774, 2013
– Giuliano S et al. Severe community onset complicated by carbapenemase producing Klebsiella Pneumoniae bloodstream infection. BMC Infect. Dis. 14, 475, 2014